[Tempo di lettura: 4 minuti] La solitudine che molti stanno vivendo come individui, nonostante i continui contatti con gli altri tramite gli strumenti che ormai sono sempre con noi, era stata preannunciata più di cinquant'anni fa. Esiste un antidoto?
Spesso mi trovo a pensare cose veramente banali, come il fatto che l'umanità sia divisa fondamentalmente in due:
1 - Quelli che si muovono con il cuore e gestiscono il proprio ego, preoccupandosi anche degli altri, di come si sentono, di come farli stare meglio.
2 - Quelli che "prima vengo io", che pensano al proprio interesse e a quello dei propri famigliari (quando va bene), ma per il resto non si preoccupano di come stanno gli altri, o preferiscono non vedere.
Banale ed ovvio, ma sono uno che sa scorgere ormai al di là del bagliore accecante del banale e dell'ovvio. Mi trovo spesso a sguazzarci nell'ovvio, a fare voli pindarici su come, ad ogni modo, ci stiamo sguazzando alla stragrande tutti... in questo ovvio autoimmunizzante che ci fa continuare a dire “è così che funziona”.
Nella notte tra sabato 24 e domenica 25 marzo 2018, allo stagno Meder nel territorio di Serle (BS) è avvenuta una grave tragedia. Una tragedia ambientale di cui i media locali hanno parlato a lungo, per la quale si sono indignati ovviamente i cittadini, i cacciatori e tutte le associazioni ambientaliste (approfondisci QUI).
Al di là dell'immane disastro, della violenza che ogni essere umano subisce quando accade un evento di questo tipo al pianeta, in molti si sono domandati "Perché fare una cosa del genere?". Da ciò che ho letto, la risposta suggerita dai media è quella di uno sfregio pianificato da qualcuno che non è d'accordo sulle nuove e virtuose politiche ambientali per la salvaguardia degli anfibi portate avanti dal Comune.
Personalmente vedo un'altra ipotesi possibile, meno macchiavellica ma, forse proprio per questo, più probabile: sono stati degli stupidi a compiere quel gesto.
Fin da bambini siamo stati abituati, chi più chi meno, a sentirci chiamare stupidi qualche volta, da amici, da insegnanti vecchio stampo, da genitori, da preti e compagnia bella. Credo inoltre che la maggior parte di noi abbia a sua volta dato questo titolo a qualcuno, magari solo col pensiero.
Prendiamo il primo vocabolario di lingua italiana che abbiamo a portata di click, ad esempio Garzanti, e leggiamo la definizione della parola STUPIDO: tardo nel comprendere, ottuso di mente, poco intelligente.
Chi ha avuto a che fare con uno o più stupidi nella vita, leggendo una definizione del genere potrebbe pensare "Magari!". Sì, perché lo stupido non è solamente tardo nel comprendere, ottuso di mente e poco intelligente. Lo stupido fa danni.
Sento spesso qualcuno che si lamenta per la “mala accoglienza” ricevuta in qualche negozio o ristorante da parte di commessi, camerieri o dei proprietari stessi.
Una delle lamentele più frequenti è la mancanza di sorriso, seguita da quelle sui toni secchi e poco accoglienti, sulle risposte brusche, sul fatto che qualcuno parla senza guardare negli occhi il cliente, ma potrei fare una lista ben più lunga.
È normale - e credo capiti a tutti – non sentirci accolti in assenza di un sorriso di benvenuto, o almeno di un suo lieve accenno, quando entriamo in un posto pubblico per comprare qualcosa, per chiedere un tavolo al ristorante, un caffè al banco o per ricevere un servizio.
Ci sono persone che non sorridono spesso, e credo dipenda più dalla loro storia che da un deliberato progetto di stronzaggine. Che esistano è un dato di fatto e, se quando siamo nei panni del cliente ci accoglie l'uomo delle nevi, è molto conveniente non prenderla sul personale: quell'individuo è così con tutti i clienti, non si tratta di una modalità in esclusiva per noi.
Anche la scelta dell'abbigliamento e degli accessori che ci portiamo addosso è riconducibile al linguaggio del corpo, poiché esprime delle precise scelte relative a come vogliamo essere percepiti. Sono scelte spesso inconsapevoli che, però, creano impressioni specifiche nell'altro.
Nel 2012 un gruppo di psicologi dell'Università del Kansas ha condotto una ricerca sulla correttezza della prima impressione basata sull'osservazione delle calzature dell'interlocutore.
Fu preso un primo campione di 108 individui, tra i diciotto e i cinquantacinque anni di età, ai quali venne chiesto di fornire le fotografie delle scarpe che utilizzavano di più.
A un secondo gruppo di persone venne chiesto, invece, di osservare le scarpe fotografate e di formulare ipotesi sulla personalità, le caratteristiche sociali e i guadagni dei soggetti, che non potevano vedere e non conoscevano.
Il risultato della ricerca è davvero interessante.
L'idea di scrivere questo articolo mi è arrivata quando ho visto, qualche mese fa, una splendida ed efficace campagna creata dall'agenzia francese Rosapark, per l'Associazione parigina Innocence En Danger, attiva dal 1998 contro la pedopornografia online.
I creativi di Rosapark, con un vero guizzo di intelligenza, hanno trovato un modo di attirare l'attenzione dei genitori, simulando le cosiddette emoticon in una forma umana, per sottolineare che oggi nel web e nella messaggistica che lo contraddistingue, queste "faccine" possono creare trappole emozionali.
Credo che tutti voi abbiate sentito parlare del linguaggio del corpo e della comunicazione non verbale (CNV).
In commercio esistono parecchie pubblicazioni su questo tema, dalle più scientifiche alle più dozzinali; sui settimanali se ne parla spesso; ci sono serie televisive dedicate, come Lie to me e The Mentalist.
Esistono varie scuole di pensiero sulla CNV: alcune insegnano a leggere le micro espressioni del viso (la serie televisiva Lie to me è basata proprio su questa visione), altre, come quella da cui provengo che si chiama comunicazione analogica non verbale, interpretano i pruriti che scattano durante il dialogo e i conseguenti toccamenti del proprio corpo.
Io stesso ne ho parlato in uno dei miei primi articoli su questo blog: Il linguaggio del corpo, una lettura al di là delle parole.
Ho notato che nella stragrande maggioranza della sua divulgazione abbiamo parlato molto più di come leggerla sugli altri, e sottovalutato troppo spesso di raccontarvi la sua valenza eccezionale nell'auto-lettura e in quello che ci può offrire nei termini di autoconsapevolezza e benessere personale.
Credo esista una certa confusione tra i concetti di autostima e sicurezza di sé. Spesso tendiamo ad assimilarli allo stesso significato, ma presentano due caratteristiche inconsce ben distinte.
La sicurezza di sé è il grado di efficacia che una persona ritiene di poter raggiungere in una particolare situazione o cimentandosi in una precisa sfera di competenza.
L'autostima, invece, è il canone di misura di quanto una persona piace a se stessa, o si ritiene degna di ricevere e godere le cose belle della vita.
Nella mia esperienza di consulente in azienda ho incontrato molti leader, alcuni dei quali hanno avuto la mia ammirazione per la capacità di gestione e la fluidità di lavoro che riuscivano a creare nel team, muovendosi soprattutto su un lato "umano", mantenendosi umili e riuscendo ad essere ottimi punti di riferimento per ogni singolo componente del gruppo.
In questi casi fui io ad imparare molto e il mio intervento servì solamente a registrare alcune valvole che potevano lavorare ancora meglio.
Per contro, ho osservato anche manager che rendevano veritiero uno degli illuminati aforismi di Oscar Wilde che recita: "è con le migliori intenzioni che a volte si producono gli effetti peggiori".