No, non ti sto consigliando l'amante
Qualche giorno fa avevo davanti a me, in studio, l'ennesima donna reduce da un calvario con l'ennesimo narcisista, che mi raccontava un rapporto chiuso di fresco e corredato di tutte quelle sfumature da collezione, che solamente un narcisista respingente, svalutante ed offensivo sa offrire.
Ascoltavo, nauseato, le modalità reiterate di ricatto, ripicca, abbandono e rifiuto, che scattavano ogni qual volta lei non si trasformava in un origami esattamente piegato come voleva lui: abbandoni in parcheggi di altre città, inviti violenti a scendere dall'auto con conseguente problema di tornare a casa, vacanze saltate all'ultimo minuto, svalutazioni verbali davanti agli amici, offese alla dignità di donna, e compagnia bella... per un anno... meno qualche giorno, sottolineava lei.
Sì, meno qualche giorno, perché alla fine questa donna, raggiunto il suo limite di tolleranza, l'ha mollato, e credo possa dichiararsi fortunata per il fatto che sia bastato un anno, quando a molte non basta una vita.
Dopo averla accompagnata, strategicamente, a persuadersi da sola che non si può chiamare amore un rapporto aberrante come questo, nonostante avesse risposto "Perché lo amavo" alla mia domanda "Cosa ti ha impedito di lasciarlo prima?", ho provato a formulare la visione di coppia che oggi, alla luce di quanto ho incontrato nel mio percorso di studi, mi sembra la più sana e adulta in assoluto.
Ma dobbiamo partire da qui:
"L'amore: il più sublime degli autoinganni, ci innamoriamo di quello che noi vediamo nell'altro".
[Marcel Proust]
Il postulato fondamentale è che l'inizio di una storia è sempre appassionante ed entrambi i partner tendono a vedere e a ingrandire solamente i lati positivi dell'altro, col risultato che difetti e zone critiche vengano obnubilati a lungo.
Spesso, in questa prima fase, ognuno dei due cerca davvero di dare il suo meglio, impegnandosi ad apparire tanto più idoneo alle aspettative dell'altro, quanto più è grande l'intimo desiderio di averlo completamente per sé.
È il periodo del per sempre.
A lungo andare, quando la frequentazione si fa più assidua e magari inizia una convivenza, non c'è più molto da conquistare e da desiderare: l'altro c'è, è disponibile, presente, rassicurante... quindi la nebbia che offuscava i nodi caratteriali di ognuno si dirada pian piano, e al contempo l'impegno reciproco per raggiungere l'oggetto del desiderio viene meno, poiché in generale si tende a non desiderare ciò che già si è raggiunto.
Ecco che la soggettività di ognuno dei due diventa più chiara con l'emergere, appunto, di quelle già nominate zone critiche che, a ben guardare, sono sempre state presenti, anche se, probabilmente, solo accennate.
La fase del "sei cambiato/a"
L'apertura degli occhi, lungi dal farci pensare che eravamo noi ad essere ciechi, ci spinge ad accusare l'altro - a volte solo tra noi e noi, altre volte apertamente - di non essere più quello di prima e qui si innesca un'escalation simmetrica che porta a un nulla di buono: nessuno dei due vorrà, né potrà ammettere, di essere effettivamente cambiato e si accenderà un gioco di sottili recriminazioni reciproche.
È questa l'ultima fase possibile in cui introdurre il terzo soggetto della coppia: il NOI.
Ci sono coppie, piuttosto rare oggi ma frequenti due o tre generazioni fa, che sin dall'inizio portano avanti lo stare insieme come una missione, impegnandosi reciprocamente nel rispetto dell'altro e a dare il proprio meglio rimanendo sul piano che Eric Berne, padre dell'Analisi Transazionale, chiama adulto-adulto e che, a mio avviso, è l'unico terreno valido per costruire un NOI.
La maggior parte delle coppie odierne, invece, percorre grosso modo ciò che ho semplificato parecchio nei paragrafi precedenti ed arriva, appunto, alla fase del "non ti riconosco più".
A questo punto, sono poche le coppie che si fermano e iniziano a dimostrare di voler stare BENE INSIEME, inserendo un nuovo ingrediente, salvifico, che è quello dell'impegno reciproco. Altre coppie, al contrario, si ostinano a stare MALE INSIEME, con la falsa illusione che un giorno possa tornare tutto come prima.
Quando si parla di IMPEGNO nella coppia, molti... arricciano il naso.
La donna che avevo davanti in studio qualche giorno fa, come molti altri clienti prima di lei, a questo punto mi disse:
"Eh ma così non è... bello! Non ha senso doversi impegnare in amore, l'amore o c'è o non c'è, non si può costruire! Ciò che suggerisce lei spinge a non essere più se stessi! Diventa una forzatura!"
Sorrisi e le chiesi: "E quanto è stato 'bello' quello che ha vissuto con il suo ex? Quanto è stata una 'forzatura' per lei attendere tutto quel tempo prima di riuscire ad ammettersi che era più sano liberarsi da quella relazione? Quanto è andata contro la sua natura per un anno... meno cinque giorni?"
Rimase in silenzio ed iniziò a sorridere a sua volta.
Il NOI è da accudire e da proteggere
Mi piace chiamarla ALLEANZA questa volontà di continuare a impegnarsi per l'altro, a tifare per lui e per i suoi goal, nel rispetto costante e mettendosi il più possibile nei suoi panni, salvo andarsene a gambe levate quando si ripetano comportamenti irrispettosi da parte sua e non ci siano tracce di miglioramento.
Le scuse, spesso condite di lacrime, a seguito di comportamenti offensivi reiterati verso l'altro, non sono una prova d'amore ma, al contrario, sono chiari indizi di una modalità infantile, tipica del Narcisista che si ostina ad essere se stesso e solitamente si rifugia nell'alibi dell'io sono così perché tu...
Per costruire o rafforzare un NOI si deve essere in due, non può farlo un solo partner per entrambi, perché si trasformerebbe in vittima sacrificale.
Il NOI è la dimensione migliore, perché è la terra di mezzo tra le nostre rispettive soggettività, ed è lì che il terreno è fertile per una crescita condivisa.
Alla prossima,
Sergio Omassi